Inceneritori o Termovalorizzatori? L’imbroglio delle parole!
La tradizione del latinorum è ancora viva e vegeta e i moderni “Azzecca-garbugli” tentano (spesso con successo) di nascondere dietro terminologie inventate per l’occasione e non conformi al linguaggio giuridico e scientifico condiviso, interessi economici contrari a qualsiasi principio di salvaguardia ambientale e sanitaria. Insieme alle terminologie propongono anche una narrazione più o meno dimostrabile e tentano con ogni tipo di strumento (mezzi di informazione e attività di lobbying ad ampio raggio) di imporla all’opinione pubblica. Questo è quello che è successo con gli inceneritori nel momento in cui un qualche consulente di una delle grandi aziende del settore ebbe la fantastica idea di definirli “termovalorizzatori”, spalancando per questi impianti le porte degli incentivi pubblici a discapito delle fonti rinnovabili (vedi gli incentivi “CIP 6” introdotti nel 1992 “per incentivare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate” che “assimilava” i termovalorizzatori[1] e il successivo Decreto “FER”[2]). Facendo leva su una residuale produzione di energia elettrica, ottenuta attraverso lo sfruttamento del vapore acqueo che si crea nella camera di combustione, si è dato vita a una tipologia di impianto non solo capace di concorrere e scalzare le energie rinnovabili (fotovoltaico, eolico ecc.) nei finanziamenti pubblici ma anche di presentarsi all’opinione pubblica come la soluzione all’annoso problema della gestione dei rifiuti, in spregio a tutte le relative normative europee, recepite, peraltro, anche dall’Italia. Infatti, dopo i “termovalorizzatori”, sono arrivati i “termovalorizzatori di ultima generazione”, che, stando a quanto dicono i loro interessati sostenitori, sono in grado di dissolvere nel nulla la materia trattenendo qualsiasi tipo di emissione… Analisi condotte sull’ambiente circostante gli impianti ed epidemiologiche[3] dimostrano, invece, che emettono sostanze tossiche, come diossine, idrocarburi policiclici aromatici e furani.
Ciò detto, una cosa è certa: in tutto il mondo, fatta eccezione per l’Italia, si definisce “inceneritore” un impianto di smaltimento che serve a ridurre il volume di rifiuti solidi non differenziati trasformandoli in ceneri, gas, polveri sottili e ultrasottili.
Qual è la situazione in Italia? Quanto e come bruciamo?

Un tipico impianto di incenerimento dei rifiuti
In Italia, attualmente, ci sono 37 impianti di incenerimento in esercizio che trattano circa 6,2 Milioni tonn/anno di rifiuti, e di questi 16 bruciano il rifiuto indifferenziato tal quale, 9 bruciano sia rifiuto tal quale che rifiuti preselezionati nei TMB e 12 bruciano solo rifiuti preselezionati[4]. Quasi i due terzi degli inceneritori presenti in Italia hanno soltanto il recupero di energia, ma solo un terzo degli inceneritori recuperano anche il calore (Brescia, Bolzano e pochi altri). Il recupero di energia di questi inceneritori è di circa il 25% che, di fatto, equivale alla quantità di metano immesso durante il processo di incenerimento per favorire la combustione. La quantità di gas metano immesso per sostenere la combustione nel forno varia a seconda del tipo di rifiuto conferito. Nel caso dei rifiuti tal quale, ad esempio, il loro potere calorifico è dimezzato rispetto al rifiuto preselezionato e quindi la quantità di metano occorrente è pari al doppio di quella immessa nella combustione dei rifiuti preselezionati.
La normativa europea e italiana classifica gli inceneritori come operazione di smaltimento D10 o come operazione di recupero energetico R1. Per ottenere la classificazione R1 l’impianto di incenerimento deve avere una efficienza energetica uguale o superiore al 60% (se l’installazione era in funzione ed autorizzata prima dell’1.01.2009) oppure uguale o superiore al 65% (se l’installazione è stata autorizzata successivamente al 31.12.2008). Nel caso del mancato raggiungimento delle suddette soglie di efficienza energetica, l’incenerimento è classificato come operazione di smaltimento D10 e soggetto a eco-tassa.[5,6]
Il D.L. n. 133/2014 meglio noto come “Sblocca Italia” ha prescritto che tutti gli inceneritori nazionali procedano ad adeguare la loro finalità da smaltimento (D10) a recupero energetico (R1), ma nella realtà sussistono ancora molti impianti con una bassa efficienza energetica.[7]
Occorre precisare, però, che il meccanismo di calcolo per misurare l’efficienza energetica degli inceneritori è a dir poco ambiguo, perché come si può evincere dall’allegato C alla parte IV del Decreto Legislativo 152/2006 “gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani sono compresi in R1 solo se la loro efficienza energetica è uguale o superiore a 0,65 cioè al 65%” ma nel contempo all’interno del calcolo introduce un coefficiente moltiplicativo pari a 2,6 che consente a ogni impianto che abbia almeno il 25% di efficienza energetica di raggiungere automaticamente il livello di efficienza energetica del 65%. Nello specifico, la formula utilizzata è [(Ep – (Ef + Ei) )/(0,97 × (Ew + Ef) )]*CCF, dove l’energia prodotta Ep (energia elettrica annua prodotta) è calcolata moltiplicando l’energia sotto forma di elettricità per il CCF – il Fattore Coefficiente Correttivo – che è pari in media a 2,6 (25% x 2,6 = 65%). Quindi, con una semplice moltiplicazione l’efficienza energetica sale al 65%![8]
Quali sono gli incentivi di cui godono attualmente gli inceneritori?
La attuale Direttiva (UE) 2018/2001 RED II[9] sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, prevede all’articolo 3 l’esclusione di incentivazioni agli inceneritori in assenza del rispetto degli obblighi in materia di raccolta differenziata, riutilizzo e riciclaggio. L’Italia non ha ancora raggiunto gli obiettivi previsti dalla Direttiva 2008/98/CE (recepita dal D.Lgs. n. 205/2010 che ha introdotto gli obiettivi di riciclaggio all’articolo 181 del D.Lgs. n. 152/2006) che prevede un target per la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani del 50% in peso da conseguirsi entro il 2020, sostanzialmente pari al 65% di Raccolta Differenziata. Dal rapporto ISPRA 2021[10] si evince che l’Italia ha raggiunto l’obiettivo del 63% di Raccolta differenziata, pari ad un Riciclaggio del 48,4%, ma non è presente alcuna informazione in meritoa al target per la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani. Essendo fuori dai target europei, l’Italia dovrebbe di fatto escludere qualsiasi tipo di incentivazione statale agli inceneritori.

Percentuali di riciclaggio tratte dal Rapporto ISPRA 2021
È in corso di definzione la proposta di direttiva sulle energie rinnovabili RED III, già approvata dal Parlamento europeo, che punta, da un lato, a impedire che frazioni riciclabili come gli imballaggi o gli scarti da cucina possano finire nel flusso dei rifiuti residui avviati a incenerimento e, dall’altro, a rendere più complessa l’attivazione di incentivi per il recupero energetico. La direttiva RED III fa parte del pacchetto “Pronti per il 55%”, ovvero quell’insieme di disposizioni atte a raggiungere l’obiettivo UE di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030. A oggi, in base alla direttiva in vigore, l’UE è tenuta a garantire che, entro il 2030, almeno il 32% del suo consumo energetico provenga da fonti rinnovabili. Nel quadro del pacchetto “Pronti per il 55%” l’UE intende rivedere la direttiva in vigore sulla tassazione dei prodotti energetici per allineare tale tassazione alle attuali politiche UE in materia di energia e clima.
La normativa europea sugli incentivi agli inceneritori
Che cosa dice la normativa europea vigente, ossia la Direttiva (UE) 2018/2001 nota come “RED II”?
Riportiamo alcuni passaggi chiave:
Articolo 3 – Obiettivo vincolante complessivo dell’Unione per il 2030
Gli Stati membri provvedono affinché nell’elaborazione delle politiche nazionali, compresi gli obblighi derivanti dagli articoli da 25 a 28 della presente direttiva, e dei regimi di sostegno sia tenuta in debita considerazione la gerarchia dei rifiuti di cui all’articolo 4 della direttiva 2008/98/CE al fine di evitare indebiti effetti di distorsione sui mercati delle materie prime. Gli Stati membri non concedono alcun sostegno per l’energia rinnovabile prodotta mediante l’incenerimento di rifiuti se non sono stati rispettati gli obblighi in materia di raccolta differenziata stabiliti in tale direttiva.
Articolo 29 – Criteri di sostenibilità e di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per i biocarburanti, i bioliquidi e i combustibili da biomassa (compresa la frazione organica rifiuti urbani)
- Comma 1 – Tuttavia, i biocarburanti, i bioliquidi e i combustibili da biomassa prodotti a partire da rifiuti e residui diversi dai residui dell’agricoltura, dell’acquacoltura, della pesca e della silvicoltura devono soddisfare soltanto i criteri di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra definiti al paragrafo 10 per essere presi in considerazione ai fini di cui alle lettere a), b) e c) del primo comma. Il presente comma si applica anche ai rifiuti e ai residui che sono stati trasformati in un prodotto prima di essere trattati per ottenere biocarburante, bioliquido o combustibile da biomassa;
- Comma 10 – La riduzione delle emissioni di gas a effetto serra grazie all’uso di biocarburanti, di bioliquidi e di combustibili da biomassa presi in considerazione ai fini di cui al paragrafo 1 è pari almeno d) al 70 % per l’energia elettrica, il riscaldamento e il raffrescamento da combustibili da biomassa usati negli impianti in funzione dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2025 e all’80 % per gli impianti in funzione dal 1° gennaio 2026;
- Comma 11 – c) per impianti con una potenza termica nominale totale superiore a 100 MW, è prodotta applicando una tecnologia di cogenerazione ad alto rendimento o per impianti per la produzione di sola energia elettrica che raggiungono un’efficienza energetica netta almeno pari al 36 %;
- Comma 11 – d) è prodotta applicando la cattura e lo stoccaggio del CO2 da biomassa.
La normativa italiana sugli incentivi agli inceneritori

Allegato 1 – Vita utile convenzionale, tariffe incentivanti e incentivi per i nuovi impianti del D.M.
La normativa italiana risente tuttora della precedente incentivazione con il CIP 6 agli inceneritori, infatti, sebbene sia stato escluso il finanziamento agli inceneritori che bruciano la frazione inorganica dei rifiuti indifferenziati, attraverso i Certificati Verdi, continuano a ricevere finanziamenti gli impianti che ricevono e bruciano la frazione biodegradabile dai rifiuti urbani, riconosciuta come “biomassa”. I Certificati Verdi sono stati istituiti con Decreto Ministero Sviluppo Economico del 6 luglio 2012[11] dell’ex ministro Paolo Romani del governo Berlusconi IV. Come si vede nella tabella contenuta nel D.M., il punto C prevede che nell’incentivazione, determinata in base alla potenza dell’impianto (€/Kwh prodotta), rientrino anche i cosiddetti rifiuti urbani non differenziati con la tariffa di 125 €/Kwh prodotto dall’incenerimento degli stessi. La recente delibera di ARERA[12] (Autorità di Regolazione Energia Reti Ambiente) conferma quanto stabilito dal D.M. definendo gli inceneritori impianti ibridi a biomasse.
Gli effetti sulla salute e il principio “Do Not Significant Harm”
Come già accennato, bruciare i rifuti non vuol dire dissolverli nel nulla ma comporta una pesante dispersione di sostanze tossiche in atmosfera. Non a caso, la stessa Unione Europea ritiene che “se un’attività economica comporta un aumento significativo della produzione, dell’incenerimento o dello smaltimento dei rifiuti, ad eccezione dell’incenerimento di rifiuti pericolosi non riciclabili”, non risponde al principio “DNSH – Do Not Significant Harm”, ovvero “non arrecare danno significativo” all’ambiente, che è alla base dell’economia circolare e di tutti gli atti che prevedono impatto sull’ambiente (compreso il PNRR).
Per quanto attiene gli effetti dimostrati sulla salute ci limitiamo, data la complessita del tema, a citare alcuni passaggi dallo studio condotto dalla Dott.ssa Anna Bott per ISPRA[13]:
“Per avere un’idea indicativa della ripartizione relativa dei residui tra le diverse classi, la termovalorizzazione dei rifiuti urbani in un inceneritore a griglia della capacità di 5.2 t/d, dotato di uno spray dryer/absorber, un precipitatore elettrostatico e un wet scrubber, trasforma la massa in ingresso per il 20% in scorie pesanti, 2% in residui dei dispositivi di pulizia dei gas, 0.4% in cenere del boiler e 78% in emissioni gassose (percentuali in peso)”.
“Le alte temperature che caratterizzano la combustione dei rifiuti possono portare alla formazione di ossidi di azoto e la presenza nei rifiuti di composti contenenti cloro, fluoro, zolfo e azoto può generare gas acidi e corrosivi. Infine, dal forno possono uscire prodotti di combustione incompleta, contenenti CO, PAH, PCDD (diossine), PCDF (furani) e fuliggine”.
“Le emissioni correlate al processo di termovalorizzazione dei rifiuti che rivestono maggiore importanza dal punto di vista ambientale e della salute umana sono il particolato, i gas acidi (HCl, HF, SO2), i metalli pesanti, le diossine e gli idrocarburi policiclici aromatici.”
Il parere del geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi
Consiglio la visione di questo video dove Mario Tozzi spiega: “pur facendo una ricerca sulle terminologie di questo tipo tecniche, io non l’ho mai trovata. La parola termovalorizzatori sembra quasi che sia sorta a un certo punto, proprio per questa ragione: siccome gli inceneritori erano già noti – è comunque qualcosa che brucia fra fumo e ceneri – forse si è pensato che in quel modo si potesse dare rilievo al fatto che da questi inceneritori che ci sono si puó ricavare una frazione energetica e anche del calore, che è una cosa in linea teorica positiva, però è sempre un impianto industriale, dunque ha delle conseguenze sull’ambiente che forse all’inizio abbiamo sottovalutato.”
Note
1.↑ Comitato interministeriale dei prezzi. Deliberazione 29 aprile 1992: Link
2.↑ DECRETO LEGISLATIVO 3 marzo 2011, n. 28: Link
3.↑ Biomonitoring of Metals in Children Living in an Urban Area and Close to Waste Incinerators: Link
4.↑ Rapporto ISPRA 2022: Link
5.↑ Direttiva 2008/98/CE: Link
6.↑ DECRETO LEGISLATIVO 3 dicembre 2010, n. 205: Link
7.↑ DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 133: Link
8.↑ DECRETO LEGISLATIVO 3 aprile 2006, n. 152: Link
9.↑ Direttiva (UE) 2018/2001: Link
10.↑ Rapporto Rifiuti Urbani – Edizione 2021: Link
11.↑ Decreto ministeriale 6 luglio 2012 ed allegati – Incentivi per energia da fonti rinnovabili elettriche non fotovoltaiche: Link
12.↑ Metodo tariffario rifiuti per il secondo periodo: Link
13.↑ Analisi di particolato da termovalorizzatori: Link
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